Una riflessione da genitore
Un libro che sembra perfetto, nella porosità degli eventi narrati e nel suo rituale narrativo ruvido ed efficace. Philip Roth ha il dono, quello che ogni scrittore cerca e coltiva e per alcuni, come Roth appunto, arriva per magia da chissà quale parte della natura.
Il suo è la storia del sogno tradito a stelle e strisce, delle lotte interne politiche e terroristiche che molti pensano siano vissute nella stagione soltanto europea della Baader Meinhof o delle Brigate Rosse e che invece fu anche un fenomeno americano. Una rivolta anti razzista e anti Vietnam, ma non solo. Certamente questo è il cuore del libro, il crogiolo della famiglia statunitense che si inceppa, si distrugge in mille pezzi proprio a fronte del conflitto generazionale e politico tra chi è uscito dalla guerra da vincitore e i loro figli che mettono in discussione tutto il modello. E lo stile.
Ed ecco appunto il… punto da cui ripartire per rileggere quel libro. Il confronto e lo scontro genitori-figli. Uno scontro sempre acuto e politicamente quasi necessario, ove per politica si possa intendere in senso più ampio stili di vita, costumi e libertà individuali.
Ma quello che più mi ha lasciato il segno nella rilettura coltivata come occasione dopo la visione del film omonimo diretto da Ewan McGregor, è stato proprio questo: Il dramma di un padre che cerca disperatamente di salvare sua figlia dal gorgo senza fine della clandestinità. E non per mera convinzione politica, ma per amore. Per amore incondizionato. Per amore assoluto.
Una condanna a cui la mamma Dawn non si consegna ma che invece investe fino alla distruzione della sua essenza “Lo Svedese”, il padre, il ricco borghese invidiato e amato da tutti, che porterà addosso quella croce fino alle estreme conseguenze.
È giusto? È naturale? Non ho una risposta per me, figuriamoci per gli altri, ma mi resta l’amaro e il dolce di quelle pagine e di quelle scene così ben recitate dallo stesso McGregor, da Jennifer Connelly e da Dakota Fanning nel film che ritengo sia fedelissimo alle pagine di Roth, non tanto nella tensione del romanzo in sé, quanto proprio nel raccontare un padre, una madre e una figlia colti nell’avventura di vivere come in un’istantanea lunga una vita.
Mauro Valentini
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