Pino Nazio riscrive la storia di quel tragico mistero.
Mogadiscio in quei primi mesi del 1994 sembrava diventata il centro del mondo. Del mondo losco e terribile della politica internazionale e dei signori della guerra. Traffici di rifiuti e di armi percorrevano rotte misteriose che però avevano al centro sempre il corno d’Africa. Ilaria Alpi conosceva quel mondo, quelle piste battute dal male. Aveva capito.
Ilaria e Milan
È domenica quel 20 marzo 1994 ma non è una giornata di festa. Per Ilaria non esistono giornate di riposo e quella mattina, insieme al suo cameramen Milan Hrovatin, hanno intervistato un personaggio molto influente del Nord del paese. Qualcuno che sa. Nel primo pomeriggio, un pomeriggio caldo e pieno di vento, passate da poco le 14.30, Ilaria e Milan con il loro autista stanno spostandosi verso l’albergo, quando da una Land Rover scendono diverse persone armate, almeno sette, e fanno fuoco uccidendo i due giornalisti della Rai.
Da quel giorno inizia un calvario di false notizie, di incredibili retroscena che, dopo 25 anni ancora aleggiano e avvolgono il destino di Ilaria e Milan, e che sono ricostruiti con attenzione e passione nel nuovo libro di Pino Nazio, giornalista Rai e autore televisivo e letterario, dall’eloquente titolo: Ilaria Alpi – L’altra verità (Edizioni Ponte Sisto)
Perché Pino, Ilaria l’ha conosciuta. E conosceva la sua energia.
Occasione per parlare del caso e del libro con l’autore sarà la prima presentazione del volume a Roma il 19 marzo alle 11:00, presso “Spazio 5”, centro culturale di grande prestigio a via Crescenzio 99.
La locandina dell’evento
E io ho intervistato Pino oggi, in una pausa del suo lavoro, per capire cosa lo ha spinto ad affrontare un intrigo internazionale come questo che ha portato via Ilaria e Milan.
Ancora un tuo libro su un mistero insoluto. Cosa ti ha portato a parlare di Ilaria?
«L’averla conosciuta e non voler accettare la mancanza di un colpevole per la sua morte. Ilaria Alpi era una giornalista sui generis, sempre pronta a mettersi dalla parte dei più deboli, di chi soffre. E in una guerra, come quella che alcuni “signori” hanno scatenato anche contro una missione di pace, di gente che soffre ce n’è tantissima. Non era una giornalista investigativa.»
Pino Nazio
Come hai incontrato questa storia?
«Ho conosciuto Ilaria Alpi nel 1993 quando Donatella Raffai mi chiese di andare a fare un servizio in Somalia. In quel periodo Somalia era sinonimo di Alpi e l’ho chiamata. Lei è stata disponibile, mi ha dato tutti i consigli che si possono dare a chi non conosce nulla di un paese. I numeri degli uomini della scorta da contattare, dell’autista, di dove dormire, come muovermi in una città pericolosa, i contatto buoni da usare nelle diverse occasioni. Ci siamo sentiti quando sono tornato dopo aver realizzato il mio servizio e ci saremmo dovuti rivedere, ma lei andò prima in Bosnia e poi tornò a Mogadiscio per la sua ultima missione. In questi venticinque anni ho sempre pensato di trovare il modo per approfondire tutto quello che era collegato con la sua morte: scenari, mandanti, esecutori.»
Come hai affrontato l’inchiesta, qual è l’altra verità del titolo?
«Ho letto documenti e sentenze, ho incontrato molti di coloro che potevano avere delle informazioni utili, ho cercato tutti i collegamenti possibili tra gli eventi. E non mi sono accontentato delle versioni ufficiali, delle facili verità, di seguire il senso comune. Così mi sono accorto che c’è una verità altra, su cui, forse per motivi di realpolitik, non si è voluto cercare.»
Emerge in questa tragedia una figura tra le tante che mi ha colpito: quella di Marocchino. Che sembra essere onnipresente. È l’elemento chiave?
«Marocchino era l’italiano più potente in Somalia, c’era prima che arrivasse la missione di pace e ci è rimasto dopo. Aveva sposato una bellissima donna somala e vivevano nella più bella villa di Mogadiscio circondati da una trentina di uomini di scorta. Aiutava chiunque avesse dei problemi logistici a risolverli e su questo ha costruito la sua fortuna. Si è indagato molto su di lui, ma alla fine è uscito pulito da ogni accusa. Io non sono per i processi sommari, non mi piacciono le condanne mediatiche, amo cercare le prove.»
Ilaria Alpi
Qual è lo scenario, in quali stanze si è deciso che Ilaria e Milan dovevano morire?
«L’ultimo capitolo del libro si intitola, appunto, “l’altra verità”. Non vorrei che una frase di troppo togliesse il piacere a qualcuno di leggere il libro per come ho voluto scriverlo.»
Hai la speranza che si possa arrivare ai colpevoli o almeno a una verità giuridica?
«Al tribunale di Roma pende una richiesta di archiviazione contro cui si sono espressi in molti. Una decisione non dovrebbe tardare, forse ci sarà dopo che si saranno spenti gli inevitabili fari che accenderà il venticinquesimo anniversario della sua uccisione. In ogni caso non bisogna smettere di cercare, come ci ha insegnato Ilaria e i suoi straordinari genitori. Vogliamo verità e giustizia.»
Un articolo de Il Corriere della Sera riapre la discussione sul misterioso caso del delitto di via Domenico Oliva
Quando l’editore Sovera mi chiese di scrivere un libro-inchiesta e di scegliermi un caso irrisolto per il mio esordio letterario, io non ebbi il benché minimo dubbio. Pensai immediatamente ad Antonella.
Antonella Di Veroli.
Antonella
Una vicenda tra le tante che hanno colorato di rosso e di nero Roma negli anni 90, che però mi aveva lasciato una malinconica sensazione di impotenza. Quella storia, la storia di questa donna dal carattere forte e fragile allo stesso tempo, uccisa in casa e a cui mai era stata fatta giustizia meritava di esser raccontata. E soprattutto andava fatta chiarezza se non riguardo la sua morte, almeno sulla vita di Antonella, uccisa il 10 aprile del 1994 e poi uccisa dal vociare indegno e senza cuore di una stampa che ha cercato in tutti i modi di renderla in qualche modo “complice” della sua morte. Già perché senza troppi veli e giri di parole la si accusò di esser una donna che si accompagnava a uomini sposati. Una donna che a 47 anni ancora non si era creata una famiglia e che quindi in qualche modo “se l’era cercata”.
Mi offre l’occasione per riparlare del “Delitto della donna nell’armadio” un articolo del Corriere della Sera molto dettagliato e che ripercorre le tappe di questa terribile vicenda, offrendo spunti di riflessione su possibili nuovi scenari investigativi, a quasi 25 anni dall’omicidio.
Rileggendo il lungo articolo diviso in più tappe, qualche precisazione occorre però farla, perché se questa storia è purtroppo diventata una storia sbagliata, un caso irrisolto, lo si deve soprattutto ai dettagli, confusi e mai chiariti e che hanno di fatto reso impossibile (finora) la scoperta del colpevole.
Un colpevole che, questa la mia convinzione che ho espresso con forza nel mio libro “40 passi – L’omicidio di Antonella Di Veroli” non può che esser qualcuno della cerchia ristretta, molto ristretta delle frequentazioni di Antonella.
i due fori della pistola che ha colpito Antonella (foto dagli atti del processo)
Perché Antonella (questo è appurato) riceve in pigiama colui (o colei) che la ucciderà qualche minuto dopo esser stato accolto.
Un pigiama, quello di Antonella, di quelli dozzinali, non certo eleganti, che lasciano chiaramente intuire fin da subito che chi ha ucciso ha familiarità con quella casa. E con quella donna.
Una familiarità che, a dirla tutta, forse in quattro, cinque potevano permettersi. Perché Antonella era riservata, gelosa delle sue cose. Impossibile pensare a una sua leggerezza notturna e a una apertura della porta a chicchessia. Chi l’ha uccisa la conosceva bene. Troppo bene.
Si diceva della necessità di alcune precisazione rispetto al pezzo del Corriere.
La prima è sul come è stata chiusa l’anta di quel maledetto armadio che si è portato via il respiro di Antonella. Si legge nell’articolo infatti che l’assassino è stato “previdente” nell’utilizzo della colla, ipotizzando quindi che l’assassino se la sia portata dietro, premeditando l’omicidio e anche l’occultamento. Ma non è così. E la dinamica spiega che non può esser così. Perché sappiamo benissimo dagli atti (pubblico anche la foto originale del reperto) che quella non era colla bensì uno stucco di proprietà di Antonella, quindi era in casa. Uno stucco che serviva a riparare qualche graffio sul bellissimo parquet di legno chiaro che si era fatta istallare da pochi mesi. Chi l’ha uccisa non aveva nessuna intenzione di farlo. Sono volate parole grosse forse, oppure qualche documento che Antonella non voleva riconsegnare? O che altro può aver acceso la discussione fino al tragico epilogo?
Il tubetto di stucco trovato in casa di Antonella (foto dagli atti del processo)
Sempre su Il Corriere si parla di “odore di morte” che avrebbe consentito di trovare la povera Antonella. Ritrovata, va ricordato, dalla sorella Carla, dal cognato Giuseppe e da uno degli indagati: Umberto Nardinocchi, onnipresente in tutte le fasi della ricerca. Ebbene, questo odore non c’era. Ce lo dice nientedimeno che il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Talenti, Salvatore Veltri, arrivato immediatamente dopo la scoperta del corpo. Egli mi dice in una intervista riportata nel libro che: “non c’erano odori ne di colla ne di morte in quella casa”, Quindi, chi ha aperto l’armadio (proprio Umberto Nardinocchi) non lo ha fatto richiamato dall’odore, ma da altro. Da una sua intuizione? Una strana intuizione.
Nella ricostruzione si fa cenno a un acquisto di una bottiglia di Berlucchi da parte di Antonella quella notte in cui tutto accadde. Ma questa circostanza era stata già cancellata dalle ipotesi durante il processo e anche Carlo Lucarelli nel suo Blu Notte dedicato al caso, aveva fatto un esperimento sul posto escludendo tale ipotesi. Io ho scritto nel mio libro un capitolo a riguardo, dove tra l’altro spiego:
“I due gestori del “ Lucky Bar” di via Nomentana che si trova adiacente alla zona di Talenti dove viveva ed è morta Antonella si presentano spontaneamente ai Carabinieri e raccontano che la notte del 10 Aprile, poco prima dell’orario di chiusura una donna elegante d’aspetto è entrata per acquistare una bottiglia di spumante di una marca importante. I due gestori del bar ne sono sicurissimi, è Antonella Di Veroli la donna ben vestita che ha comprato quella bottiglia.
“Che ore erano?” chiedono i Carabinieri: “ erano circa le 23:00”.
La copertina del mio libro: 40 passi – L’omicidio di Antonella Di Veroli
La squadra investigativa scientifica dei Carabinieri rientra per un ulteriore controllo nell’appartamento, vogliono trovare riscontro di quella bottiglia. […[ Cercano anche nei cestini intorno via Domenico Oliva e nella zona, qualora chi fosse uscito se la fosse portata via insieme alla pistola ma non c’è traccia di quella bottiglia di spumante. Eppure sarebbe un elemento importante perché segnerebbe una svolta almeno nella dinamica dell’omicidio.
Certo una svolta alquanto difficile da ipotizzare: Antonella sarebbe dunque andata a piedi percorrendo più di un km nelle strade buie e deserte di quella domenica sera piovigginosa a comprare questa bottiglia, oppure più presumibilmente accompagnata da qualcuno perché la sua A112 non si è mossa dal garage dove era stata parcheggiata la sera stessa. Sarebbe tornata, a piedi o con il suo accompagnatore, salita in casa, spogliata messa il pigiama per poi subire l’aggressione fatale dal suo assassino che a questo punto deve esser per forza quello che l’ha accompagnata al bar, visto che dall’avvistamento al Lucky Bar alla morte di Antonella secondo quanto scritto dalla relazione medico legale non sarebbe passata più di un’ora.
Come è strana questa circostanza, molto strana, ma in mancanza di nessun altro appiglio investigativo la testimonianza viene verbalizzata e tenuta in seria considerazione.
Manca però una prova, un riscontro certo di questo passaggio di Antonella, che i due del bar ribadiscono aver riconosciuto soltanto dalla foto sul Messaggero del 13 Aprile e di non aver mai visto prima di quella notte.
Insomma, manca lo scontrino.
Lo cercano in casa di Antonella, nelle sue borse che si trovano in casa ma non lo trovano; allora gli uomini del nucleo investigativo si presentano al Lucky bar per farsi consegnare la matrice dello scontrino del 10 Aprile 1994. Ma con stupore i due baristi affermano che tale matrice è stata da loro consegnata a dei militari in borghese che si sono presentati qualche giorno prima. ( Nota: Corriere della Sera 18 Gennaio 97).
La matrice non c’è, non si troverà mai. Non vi è traccia di altri militari che hanno preso questa iniziativa, non ci sono verbali di sequestro ne di indagine a tal proposito, i due baristi non hanno la ricevuta del sequestro ne tantomeno prova che questo sequestro sia stato fatto.
Lo scontrino della bottiglia di spumante venduta il 10 Aprile 94 dal Lucky Bar per ben 30 mila lire non si troverà più, semmai sia mai esistito uno scontrino.
Il Lucky bar uscirà ben presto di scena nell’imbarazzo generale tra matrici perdute e dichiarazioni contraddittorie, la dinamica di quella sera in cui due colpi di pistola e una busta di plastica si sono portati via la vita di Antonella anche se appare poco chiara non ha spazio per questa deviazione notturna verso il Lucky Bar, troppo fuori mano per ogni ricostruzione possibile dei fatti.
Un mistero che forse non è un mistero ma solo uno scambio di persona”
C’è poi infine, un termine che non può non aver disturbato chi ancora ha nel cuore Antonella: si scrive all’inizio del racconto che proprio Antonella si fosse “incapricciata” di Vittorio Biffani. Il disagio per questa definizione pensavo fosse solo mio, ma non è così. Cosa voleva dire il cronista che lo ha scritto? Per questo ho consultato il Vocabolario della Treccani che, in riferimento al termine così lo descrive: “Lasciarsi prendere da un capriccio, da un desiderio ostinato e per lo più non durevole”. Ma Antonella per quell’uomo aveva un sentimento molto più grande di questo, un sentimento non certo banale. Aveva perso il suo controllo consueto delle cose della sua vita, si era addirittura spinta a dar prestiti e a vagheggiare una vita possibile insieme. Quando Vittorio chiuderà questa storia, Antonella ricorrerà disperata d’amore anche a delle cartomanti e a dei cialtroni che approfittarono della sua disperazione (altro che capriccio) per toglierle dei soldi e illuderla. No, Antonella di Vittorio era innamorata. E forse lo era ancora, il giorno della sua morte.
Ospite insieme alla sorella Carla e al cognato Giuseppe di Rai Due
Io ho cercato di raccontare solo la donna Antonella, donna forte e fragile allo stesso tempo, colpita a morte prima dalle delusioni di una vita che stentava a regalarle tenerezza e amore e poi da una mano senza pietà che le ha sparato e l’ha gettata come una cosa dentro quell’armadio.
L’abbraccio della sorella Carla, indomita con il marito Giuseppe nella ricerca della verità è stato per me il momento più commovente di questa mia avventura letteraria. Così come le parole del vicino di casa, che incontrandomi a una presentazione del mio libro mi disse: «Grazie per quello che ha fatto. Lei ha tirato fuori dopo venti anni la signora Di Veroli da quell’armadio, dove gli inquirenti l’hanno dimenticata.»
La verità, Antonella. Meriti che qualcuno dica qual è la (tua) verità.
Mauro Valentini
Gli ultimi 40 passi di Antonella (foto dell’autore)
Il nostro Paese più bello che muore su quel Boeing in Africa. Persone che dedicavano la vita alla ricerca e per gli altri. Il “Bel Paese”. Quello che non odia ma che ama. La nostra Italia migliore
Otto vittime, tutte dirette a Nairobi dove avrebbero partecipato alla conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni unite.
La nostra migliore gioventù perduta per un difetto (forse) del software del 737.
Tra le vittime c’era Maria Pilar, romana, 30 anni da poco compiuti, con una voglia matta di vivere, viaggiare e soprattutto aiutare quei popoli in difficoltà, cercando di intraprendere una carriera diplomatica.
Maria Pilar si era laureata prima a “Roma Tre” per poi specializzarsi alla Luiss in Relazioni internazionali con 110 e lode.
Dopo un master di preparazione alla carriera diplomatica, ha lavorato per quasi quattro anni al World Food Programme dell’Onu. Era stata consulente anche per l’associazione di studio, ricerca e internazionalizzazione in Eurasia e Africa, e volontaria con il gruppo di Medici Senza Frontiere.
Nel suo profilo Facebook foto allegre e spensierate, un sorriso spiazzante e sincero. Nessuna autocelebrazione per quello che faceva, traspare l’idea di una ragazza che per natura faceva del bene e che aveva un sogno: un mondo migliore.
Una sua foto pubblicata su Facebook
Aveva dedicato la sua vita a questo scopo e proprio in quella terra è morta, cadendo da un aereo impazzito. Perduta per un destino incomprensibile. E più pazzo di quell’aereo maledetto.
Il mio dolore e il mio pensiero alla sua famiglia e alle altre famiglie che piangono questi eroi silenziosi. E veri.
Mauro Valentini
Ecco il comunicato ufficiale della WORLD FOOD PROGRAMME, l’organizzazione con cui collaborava Maria Pilar insieme alle altre giovani vite perdute.
Si è svolta domenica 3 marzo a Pomezia l’incontro presentazione del libro “Mirella Gregori – Cronaca di una scomparsa”.
Nella meravigliosa location di Villa Francesca, che ha ospitato con la consueta eleganza la manifestazione, si è parlato del destino di Mirella e della possibilità di una riapertura di quell’indagine che non è mai partita veramente.
Con l’autore del libro, hanno partecipato Antonietta Gregori, sorella di Mirella, e il duo musicale formato da Marco Abbondanzieri e Rodolfo Cubeta.
Per gentile concessione di Regioni in rete ecco il video commento all’incontro realizzato da Giulia Presciutti.
Riparte dal bellissimo teatro dei Georgofili a San Casciano dei Bagni (SI) il tour che riporta in scena: “Marta Russo, il mistero della Sapienza” dopo le rappresentazioni del 2018 in tutta Italia.
Una pièce teatrale che ripercorre le vicende sia giudiziarie che umane dei protagonisti. Quei nomi: Alletto, Lipari, Scattone, Ferraro rivivono sul palco, riportandoci a quegli anni, a quella tragedia che ha portato via la vita di Marta e che ha lasciato tanti dubbi non risolti.
Locandina dello spettacolo
Proprio i mass media sono tra gli attori di questa performance di Teatro Civile, un genere teatrale che prende spunto dal Teatro di Narrazione che si sviluppa a cavallo degli anni settanta, per poi divenire un modello per molti registi e autori negli anni novanta. Gli esempi illustri non mancano, Marco Paolini e Duccio Camerini sono un valido esempio di drammaturgia moderna condita da temi sociali o di cronaca, un modo nuovo di raccontare la nostra società, con i suoi pregi e i suoi difetti.
La rappresentazione non punta il dito contro nessuno dei protagonisti, non mette in dubbio il giudizio umano e le sentenze che si sono susseguite negli anni, fino agli ultimi sviluppi. Rende al contrario omaggio e dignità alla povera Marta e alle persone che nel bene e nel male sono state travolte da una vicenda, che ancora oggi, è vissuta da tanti come personale. Una performance vibrante e sostenuta per circa un’ora e mezza da recitazione, narrazione, immagini e musiche di scena.
APPUNTAMENTO QUINDI IL 9 MARZO ALLE 21:00 TEATRO DEI GEORGOFILI SAN CASCIANO DEI BAGNI
(Info e Prenotazioni: 0763 733174 – 334 1615504)
La compagnia in scena
Protagonisti
Mauro Valentini un narratore
Cecilia De Vecchis la Stampa
Claudia Caoduro un’accusata
Giancarlo Zicari, l’accusatore
Rodolfo Cubeta un cantore
Marco Abbondanzieri, un musico
Performance di Mauro Valentini
Regia e luci di Claudia Caoduro
Musiche di scena e editing audio Marco Abbondanzieri
Possono le bollicine sul fondo di un bicchiere svelarti il mistero nascosto dietro il tuo metodo di studio? Venite a scoprirlo
Ricevo e volentieri divulgo la bellissima iniziativa di Marco Valentini*
Ho partecipato all’ultima edizione del programma televisivo Superbrain!!
Marco Valentini durante la sua performance su Rai Uno
Dopo aver affrontato la prova, molti mi hanno chiesto come avessi fatto a superare e ad affrontare una prova simile, ho sempre fatto il misterioso, non mi è mai piaciuto svelare i miei assi nella manica. La prova è stata spettacolare, immagina di versare l’acqua in un bicchiere, vedere le bollicine che risalgono dal fondo in superficie fino a fermarsi ed appena tutto è stabile, memorizzarne la forma e posizione, essere bendato e doverlo riconoscere in mezzo ad altri 500.
Sembra assurdo ed impossibile, un po’ come aver dato microeconomia, matematica, economia aziendale alla Luiss al primo appello per poi farmi un mese in Argentina.
Locandina evento 10 marzo
Vorrei ammettere che sia solo talento, ma non ci sarei MAI riuscito se non avessi frequentato un corso per creare il mio metodo di studio personalizzato (per cui colgo
l’occasione di invitarvi domenica 10 marzo alle 17 oppure la sera alle 20 in via Giorgio Ribotta 21, al grattacielo Eurosky).
Da lì in avanti ho continuato a migliorare, ottenendo più risultati con gli esami avendo più tempo per uscire con i miei amici e potendo addirittura permettermi di lavorare allo stesso tempo per poi a 21 anni uscire di casa perché avevo la voglia di realizzare la mia vita e di voler costruire qualcosa di importante.
Il giorno della prova è stato un momento molto intenso, sarei andato davanti a 4 milioni di persone in prima serata in diretta su Raiuno (molto diverso da un esame universitario), ma ciò che mi ha permesso di affrontare la prova in maniera ottimale è stato sfruttare bene gli strumenti che avevo implementato al mio metodo.
Non ero ansioso o teso, sapevo di avere gli strumenti giusti. Sapevo di essere la persona giusta.
Eppure, appena sono entrato, occhi e telecamere puntati addosso, Paola Perego che mi abbraccia il cuore ha cominciato subito a battere all’impazzata.
Ho fatto un respiro profondo, ho usato gli strumenti appresi al corso ed esattamente come facevo per gli esami, la procedura del metodo che avevo scelto mia ha reso tranquillo e sereno del risultato ed alla fine.. ce l’ho fatta!
Andare in televisione e affrontare la prova per me è stato un momento molto importante perché significava superare una sfida: far vedere davanti a milioni di persone che si possono superare i propri limiti.
L’ho fatto prima su di me laureandomi in tempo in Facoltà e superando colloqui di lavoro fino a giungere a gestire un’azienda. Oggi posso dare la stessa opportunità a chi sente dentro la mia stessa ambizione o chi sente di avere gli strumenti all’altezza dei propri sogni.
Gli scettici hanno visto un semplice bicchiere, io in quelle bollicine, ho racchiuso il mio segreto: IL METODO PERSONALIZZATO!
VI ASPETTO DOMENICA 10 MARZO ALL’EUR
(INFO E PRENOTAZIONI: 339 8218644)
Marco Valentini* (Laureato in Economics and Business, madrelingua inglese s ora esperto di apprendimento strategico e docente del corso Genio in 21 giorni di Roma)
” Ora vedo che le nostre lance sono di paglia, che la nostra forza è debole e la nostra debolezza incomparabile, che tanto più sembriamo, tanto meno siamo….”
“BISBETICA DOMATA ma non troppo: tutta colpa della CDS” è lo studio della compagnia laboratorio Per Ananke del Consiglio di Stato, presso il Consiglio di Stato, su una delle opere Shakespeariane più divertenti e controverse. Una libera interpretazione ironica e divertente alla ricerca dell’origine della rabbia della bisbetica e del suo sposo, che vuole ad ogni costo addomesticarla come una gatta selvatica. Caterina urla, sbraita ma alla fine cede. Perché?
Locandina evento
«Per tutto il tempo del racconto ci siamo chiesti, osservando le brillanti trovate degli spasimanti di Bianca, sorella della bisbetica, e le sue insofferenza quale fosse l’origine di questi strampalati comportamenti amorosi e non solo.» Questa la molla con cui l’autrice Francesca Tricarico, che insieme alla compagnia Campo dei Sogni ha realizzato l’adattamento. che è immaginato appunto in una struttura all’interno di un centro per malati psichiatrici chiamato CDS. «Una riscrittura che ci ha condotto a viaggiare nel non detto di questo testo alla ricerca delle parole nascoste dentro ognuno di noi.»
Non uno spettacolo consueto, ma piuttosto un percorso, una sfida , con le paure e le ansie di tutti, con ironia e qualche tabù, alla ricerca della nostra storia personale di ognuno attraverso quella “bisbetica di Caterina”.
POMEZIA – Venerdì 8 marzo 2019 – Teatro Comunale via della Tecnica – ORE 21:00
“BISBETICA DOMATA ma non troppo: tutta colpa della CDS”
Liberamente tratto da: La Bisbetica Domata di W. Shakespeare
Regia Francesca Tricarico
Testi Francesca Tricarico e La compagnia Campo dei Sogni
Con Maurizio Colica, Silvia Ercoli, Paola Fusco, Alessandra Galimberti, Flavia Gentili,Claudia Giulia, Raffaele Greco, Elvira Pallotta, Paola Poggi, Carmelo Provenzano
Coordinatrice del progetto Paola Poggi
Produzione: Ass. Per Ananke
Questa mattina sono stato ospite, insieme ad Antonietta Gregori, della trasmissione
Uno Mattina.
Uno Mattina 19 febbraio 2019
Con i conduttori Franco di Mare e Benedetta Rinaldi abbiamo ripercorso i momenti drammatici di questa storia e i possibili sviluppi proprio a seguito della pubblicazione del libro edito da Sovera.
Tra inchiesta e testimonianza Antonietta ha ribadito la sua volontà a non mollare nella ricerca della verità, perché, come ho ribadito anche io agli autori della trasmissione: «Il mistero attorno a Mirella può esser risolto con la rilettura ragionata delle carte, finalmente separate dal caso Orlandi che, associato da sempre al caso di Mirella, non ha fatto che render impossibile allora la ricostruzione delle responsabilità.»
Qui sotto il link della puntata integrale: il nostro intervento da: 1:25:30