Mauro Valentini

Scrittore & Giornalista

«Ich bin ein Berliner!» In memoria di Fabrizia Di Lorenzo

«Ich bin ein Berliner!» In memoria di Fabrizia Di Lorenzo

Tre anni fa la strage di Berlino e Sulmona ricorda Fabrizia con una scultura

Berlino è la città europea che ho visitato più volte. Da quando è caduto quel muro che ne deturpava i viali e l’anima, tante sono stati i miei passaggi. E la mia estasi.

Una città veramente poliedrica, colorata nella gioventù sfacciata d’aspetto e rigorosa nel rispetto, che vedi percorrere allegra quel viale alberato, quell’ Unter den Linden che li porta da quel grigio Est eppur così magico al verde che si staglia oltre la Porta di Brandeburgo, quello del Tiergarten con al centro la statua della vittoria di Wendersiana memoria.

«Ich bin ein Berliner» gridò da lì, da quella Porta, il 26 giugno 1963 un certo JFK, e così riecheggia il grido oggi, dentro tutti quelli che amano la libertà e questa libera Berlino.

2634238499_c5c4c2ccac_z-200x300 «Ich bin ein Berliner!» In memoria di Fabrizia Di Lorenzo

Kaiser Kirche meglio conosciuta come Chiesa del ricordo

Riecheggiava anche quella sera di dicembre di 3 anni fa, quando un Tir a fari spenti, nero come la morte si è abbattuto in un mercatino famosissimo, in uno dei tanti luoghi simbolo della città, seminando decine di morti e feriti. In quel quartiere che è un angolo ruvido eppure così accecante di bellezza, tra lo Zoologischer garten, il Ku’damm viale alberato pieno di energia visiva e poi, quella che, soltanto in un paese attento alla memoria potresti trovare, solo in una nazione che sconta il suo debito di memoria proprio con i simboli continui che lo testimoniano: la Kaiser Kirche meglio conosciuta come Chiesa del ricordo. Rimasta così com’era nel 1945, travolta dal bombardamento finale su Berlino. Accanto ad essa, la nuova chiesa, un ottagono luccicante e trasparente di luce blu. E sotto di esse, un pullulare di giovani e turisti che seppur con un freddo cane come quello di quel 19 dicembre 2016, curiosava nelle bancarelle alla ricerca dell’oggetto giusto che accendesse l’atmosfera natalizia in casa, in famiglia.

E lì sotto quelle mura che resistettero alle bombe del 1945, una strage. E in quella strage tra gli altri, una vittima italiana: Fabrizia Di Lorenzo.

Era in quel mercatino per fare dei regali da portare a Sulmona. Fabrizia Di Lorenzo dal paese arroccato nel fondovalle tra la Majella e il Morrone era andata via più di dieci anni fa, ma ci tornava due volte l’anno. Tutti la definiscono ora “una figlia dell’Erasmus” ed in verità quella sua esperienza formativa alla “Freie Universitat Berlin” l’aveva così rapita che appena finiti i suoi studi era lì che si era accasata. (http://www.fu-berlin.de/index.html )

La città più europea d’Europa” come Fabrizia stessa amava definirla, l’aveva accolta a braccia aperte e le aveva dato un lavoro presso una società di trasporti. Non proprio quello per cui aveva studiato Fabrizia, ma intanto la dignità dello stipendio tutti i mesi, poi il resto sarebbe venuto. Ma qualcuno, un disgraziato che era stato plurisegnalato da tutte le polizie d’Europa ma che continuava a girare imperterrito tra la Germania e l’Italia, ha interrotto i suoi sogni.

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Il Tir assassino

Proprio in questi giorni, nella sua Sulmona, è stata posta la prima pietra per un monumento che ricorderà il sacrificio di Fabrizia. Una scultura che rappresenterà due mani che si incrociano ed insieme sorreggono il mondo, simbolo di unione e fraternità tra tutti gli uomini, opera dello scultore molisano Alessandro Caetani

A me ora, anche a distanza di tre anni, rimane una sensazione intima e di memoria, mi rimane il sorriso di mio figlio mentre usciamo dalla birreria Hans am Zoo divertito e stordito dalla sua prima Berliner Weisse. L’odore delle salsicce addosso, le risate e le cianciate in dieci lingue diverse delle scolaresche di tutta Europa che si affacciano ridendo al quartiere a luci rosse poco distante quel luogo che qualche mese dopo sarà teatro di tragedia. E quel blu della memoria, della chiesa della memoria, che tre anni fa vidi circondata da ambulanze, macchie di sangue e di disperazione.

“Ich bin ein Berliner”

Mauro Valentini

 

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