Il presepe che fu di Eduardo divide il pubblico e dimostra quanto il Teatro sia lontano dalla TV (e dai suoi spettatori)
C’era molta attesa e prevenuto scetticismo nei confronti di questa volatile e pindarica transposizione dell’opera di Eduardo più famosa (e tutt’altro che la migliore) regalata al pubblico in semi-lockdown l’antivigilia di Natale.
Attesa perché le qualità liriche e iconoclaste del regista Edoardo De Angelis facevano presagire una rilettura di quello scritto dissimile e originale rispetto alla prima teatrale di 90 anni fa e delle due rappresentazioni televisive del 1962 e del 1977. E poi c’era lui, Sergio Castellitto, alle prese con un ruolo che è stato di colui che fu il più grande dramaturgo del secolo passato e con una macchia per molti gravissima: essere nato a Roma.
Come se poi un’opera così intensa e intima nella costruzione e nei ruoli dei protagonisti, si potesse in qualche modo relegare a macchietta locale e non volare oltre. Come quel teatro meritava e meriterà ancora per secoli.
Eppure…
De Angelis non riesce a emozionare fino in fondo, rimane forse troppo riverente nei confronti del Maestro e non fa esplodere quella sua riconosciuta capacità di sorprendere con cui era riuscito in opere precedenti e prettamente cinematografiche come Perez e soprattutto Indivisibili , con cui aveva vinto David e Venezia nel 2017.
La regia è troppo pulita, manca di quel guizzo che dovrebbe esser mezzo televisivo, evidenziando la differenza tra il Teatro, quello vero, e la Televisione, che è sempre troppo stretta anche a 65 pollici.
E che soprattutto non è palcoscenico, non crea quella magia tra spettatore e attore che lo rende unico.
Lo sapeva bene Eduardo che tanto ci lavorò per adattare le sue opere alla divulgazione televisiva, e lo sa benissimo anche Castellitto che, in un prologo prima dell’inizio, aveva pregato tutti di non paragonare, di non sovrapporre il suo Luca Cupiello a quello vero. A quello del Maestro.
Gli attori ce la mettono tutta, e bravissimi sono tutti, dallo stesso Castellitto a Marina Confalone e seppur con qualche limite a Adriano Pantaleo, apparso troppo elettrico e macchiettistico nel suo Tommasino. Ce la mettono tutta ma rimane l’amaro in bocca, la sotterranea sensazione di qualcosa di incompiuto, di non definitivo, dimostrando ancora una volta che la televisione è proprio la casa più stretta e malsana della rappresentazione teatrale.
E del resto, Eduardo, in una sua intervista, si era espresso in modo bonario e accogliente nei confronti del mestiere dell’attore, dicendo che in fondo: “Lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato, quello, è il teatro”
Buon Natale a tutti i Cupiello del mondo.
Mauro Valentini
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